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Aspettative e giudizio.
Entrambe paure che, infondo, dipendono da noi. Io “mi giudico” io “ho delle aspettative su me stessa”. “Come scardinarle?” mi sono chiesta: è impossibile, ma allora “come conviverci meglio?”.
Spogliarsi, in tutti i sensi, non sarebbe stato facile, ma sentivo qualcosa che mi spingeva a cogliere quest’occasione.
Avevo dieci chili in più e il rapporto con il mio corpo non era dei migliori; sapevo che da lì a poco mi sarei impegnata per dimagrire, ma volevo accettare anche quella me che non mi piaceva.
Nel rivedere le fotografie, a distanza di mesi, avevo paura, pensavo di vergognarmi e temevo di poter risentire quel giudizio e di non aver soddisfatto quelle aspettative. Con stupore non ho sentito niente del genere.
La donna nelle fotografie ero io, con o senza chili in più, con i difetti e le curve che ho ancora, spogliata da ogni forma di giudizio o aspettativa.
Quello è il mio corpo, questo di ora è il mio corpo e sono sempre io. L’arte ha questo potere: aiutarci. Lo asserisco senza titubanza perché fa parte della mia vita da sempre e l’ho sperimentato più volte, ma in questo caso in particolare, non sono stata io l’artista in senso stretto.
Il guardarsi in qualcosa che è al di fuori di sè, una fotografia, un dipinto, un testo, una canzone e un modo per toglierci di dosso qualcosa, un modo per avere meno paura di ciò che abbiamo dentro, per guardarci da un punto di vista esterno.
Non so come funziona questo meccanismo, ma so che funziona e ora, nel rivedere le foto, non dico di non vedere più nessun difetto, ma quelli che vedevo prima li vedo anche adesso, e capisco che il problema non erano quei dieci chili, ma sempre il nostro continuo giudizio su noi stessi.
Il mostro è esorcizzato e non fa più così tanta paura.